La situazione della sanità è drammatica: “Non va tutto bene”
Articolo scritto da Gabriella Scrimieri

Anche se le varie propagande politiche e i media consenzienti e schierati ci vogliono fare digerire che la sanità italiana o meglio la politica si stia dando da fare per recuperare il tempo perso e soprattutto i soldi persi, “non va tutto bene” assolutamente.
La sanità italiana un tempo tra le migliori al mondo, negli ultimi dieci anni ha subito tagli continui e questo grazie a tutti i governi che si sono succeduti, nessuno escluso. Tagli al personale, 10.000 posti letto in meno, 74 ospedali chiusi (Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale 2023).
Ma veniamo ai giorni nostri.-
Secondo i dati ISTAT Rapporto annuale 2025 e l’8° rapporto GIMBE sul SSN Presentato in data 8 ottobre 2025: per il 2024 sono stati spesi 41,3 miliardi (22,3%) pagati direttamente dalle famiglie (out of pocket). Chi non può permettersi di pagare le prestazioni sanitarie vi rinuncia e, nel 2024, si è registrata un’impennata: un italiano su dieci (5,8 milioni) - ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, rispetto al 7,6% del 2023 (4,5 milioni di persone). Tra i principali motivi: i lunghi tempi di attesa e problemi economici.
Nel tempo si è assistito ad un definanziamento perenne e costante. Dopo i tagli del decennio 2010-2019 e le imponenti risorse assegnate nel 2020-2022 assorbite interamente dalla pandemia, il fondo sanitario nazionale (FSN) nel triennio 2023-2025 è cresciuto di ben € 11,1 miliardi: da € 125,4 miliardi del 2022 a € 136,5 miliardi del 2025. Risorse in buona parte erose dall’inflazione che nel 2023 ha toccato il 5,7% e dall’aumento dei costi energetici.
Infatti, la percentuale del FSN sul PIL al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025, pari a una riduzione in termini assoluti di 4,7 miliardi nel 2023, 3,4 miliardi nel 2024 e 5 miliardi nel 2025. In sintesi: se è certo che nel triennio 2023-2025 il FSN è aumentato di € 11,1 miliardi, è altrettanto vero che con il taglio alla percentuale di PIL la sanità ha lasciato per strada 13,1 miliardi».
Quanto a spesa pro-capite, la situazione non migliora: l'Italia si assesta al 14° posto in Europa. Siamo il fanalino di coda tra i Paesi del G7.
La Spesa sanitaria pubblica deve essere rapportata al Pil altrimenti gli aumenti non sono comprensibili nè attendibili. Nel 2024, la spesa sanitaria pubblica in Italia si attesta al 6,3% del Pil, un valore nettamente inferiore sia alla media Ocse (7,1%) che a quella europea (6,9%). Tra i paesi europei dell’area Ocse sono 13 quelli che destinano alla sanità una quota del Pil superiore a quella italiana, con un divario che va dai +4,3 punti percentuali della Germania (10,6% del PIL) a +0,1 punti percentuali del Portogallo (6,4% del Pil).
Di fatto in Europa per spesa pubblica pro-capite l’Italia è prima tra i paesi poveri: precede solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa Meridionale, visto che Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna investono più di noi". Fino al 2011, la spesa sanitaria pro-capite in Italia era allineata alla media europea; poi, per effetto di tagli e definanziamenti operati da tutti i Governi, il divario si è progressivamente ampliato. Il gap si è ulteriormente allargato durante la pandemia, quando gli altri paesi hanno investito molto più dell’Italia; il trend si è confermato nel 2023, con una spesa stabile in Italia, e nel 2024, quando l’incremento è stato inferiore alla media degli altri Paesi europei.
E’ evidente che la sanità e la salute del paese non sono la priorità per nessun governo. Infatti i dati ci chiariscono un dato alquanto preoccupante: oggi si vive di più, ma si vive peggio. Nell’anno passato è infatti aumentata la speranza di vita, ma si è ridotta la quota di anni vissuti in buona salute, in particolare di nuovo per le donne. Se infatti si è raggiunto un nuovo massimo storico dell’aspettativa di vita (81,4 anni per gli uomini e 85,5 per le donne), la speranza di vita in buona salute parla di 59,8 anni per gli uomini e 56,6 per le donne. In un solo anno si stima che le donne abbiano perso 1,3 anni di vita in buona salute. Il punto di caduta più basso dell’ultimo decennio.
La buona salute si deve conservare grazie all’adozione di uno stile di vita virtuoso garantito dai singoli e la prevenzione garantita dal SSN.
Vi sono indicatori che ci dicono come ci stiamo muovendo a livello di sistema: le morti evitabili ovvero, quei decessi sotto i 75 anni che potrebbero essere evitati attraverso interventi di sanità pubblica e prevenzione, è un indicatore che consente di valutare il sistema sanitario ed è composto da:
- Mortalità trattabile, cioè la capacità del sistema sanitario di diagnosticare e curare
- Mortalità prevenibile, legata alla prevenzione primaria e alla promozione di stili di vita salutari.
Per migliorare questo tipo di mortalità è necessario investire in attività di screening, diagnosi precoce e terapie.
Ma se oggi rinunciamo a curarci a causa delle lunghe liste di attesa e dell’impossibilità di pagarci le prestazioni, il rischio delle morti prevenibili e trattabili diventa una triste realtà.
Le rinunce a causa di motivazioni economiche sono aumentate rispetto all’anno precedente: nel 2024 ha rinunciato per motivi economici il 5,7% delle Cittadini.
E poi si fa spazio la Sanità privata
Sanità in Lombardia, la Regione apre ad assicurazioni e mutue integrative: accesso a visite, esami e ricoveri (Corriere della Sera del 12 Ottobre 2025)
Con una delibera di settembre la giunta regionale riconosce che «si registra un largo ricorso da parte della popolazione a forme integrative di assistenza sanitaria». Da tempo i gruppi privati della sanità hanno fiutato il business. La Regione Lombardia va alla rincorsa della sanità privata e detta le regole per le convenzioni tra ospedali pubblici e fondi, mutue e assicurazioni. Grazie a questi accordi, i cittadini che pagano per una sanità integrativa potranno accedere a visite, esami e ricoveri anche nelle strutture che dipendono da Palazzo Lombardia. Con una delibera di metà settembre la giunta riconosce che «si registra, negli ultimi anni, un largo ricorso da parte della popolazione a forme integrative di assistenza sanitaria».
Una tendenza certificata dagli esperti. Secondo il rapporto Oasi 2024 del centro studi Cergas della Bocconi, infatti, in Italia dal 2018 al 2021 il valore dei contributi versati a enti e casse con finalità assistenziali, fondi sanitari integrativi e società di mutuo soccorso è passato da 2.363 a 2.841 milioni di euro, mentre il numero di contribuenti è salito da 7,8 a oltre 10 milioni.
Da tempo i gruppi privati della sanità hanno fiutato il business e stanno stringendo accordi con le assicurazioni, oppure le assicurazioni stesse acquisiscono laboratori e centri analisi (come Unipolsai ha fatto con Santagostino). La Regione ora intende muoversi lungo questa direzione. Anzi, lo ritiene «necessario», come si legge nella delibera. Nessun accenno a cosa spinge i cittadini a pagare per curarsi: le lunghe liste d’attesa nel pubblico. Il documento contiene anche le linee guida per gli ospedali che intraprenderanno la strada della collaborazione con la sanità integrativa. Tra gli obiettivi, la «valorizzazione e lo sviluppo professionale del personale», con l’intento di fidelizzarlo. Ovvero: permettere ai medici di guadagnare di più lavorando privatamente all’interno delle strutture pubbliche potrebbe frenare la fuga dei camici bianchi verso il privato o le formule a partita iva, alla ricerca di stipendi più alti e ritmi meno stressanti. Già ora il personale può fare attività libero-professionale in ospedale, riconoscendo una quota dei ricavi alla propria azienda. Grazie ai patti con le assicurazioni, questa attività è destinata ad aumentare.
Le strutture potranno negoziare i prezzi delle prestazioni, anche in base ai volumi richiesti. L’assicurazione che prenoterà molte radiografie per i propri clienti, per esempio, potrebbe ottenere uno sconto. Nello schema di accordo la Regione stabilisce anche che le tariffe applicate dagli ospedali agli assistiti che sottoscrivono mutue o assicurazioni dovranno essere «sempre e comunque inferiori al tariffario privato della struttura sanitaria, anche per le prestazioni non rimborsabili dal fondo». Toccherà agli ospedali assumersi la responsabilità di eventuali errori di calcolo delle tariffe. L’accordo riguarda visite, esami e ricoveri, ma non le cure urgenti, che dovranno sempre essere garantite dal pubblico.
La strada si sta definendo, chi potrà curarsi pagando potrà vedersi allungare la vita di qualche anno. Chi non avrà disponibilità economiche dovrà continuare a rinuciare a un diritto sancito dalla nostra Costituzione (art.32).
Inoltre vorrei richiamare oltre al noto articolo 32 anche un altro importante articolo il 41. Che cita testualmente “L’iniziativa economico privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla libertà e alla dignità umana. Determina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata o coordinata a fini sociali e ambientali”.
Ad oggi entrambi questi articoli vengono messi in seria discussione sia per motivi di tutela del diritto alla salute e sia per la questione di chiaro conflitto d’interesse del privato e delle istituzioni pubbliche come le Regioni.
Fonti:
Garattini S., Il Diritto alla Salute, Edizioni San Paolo, Milano, 2025


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